Fiabe

Le favole, proposte per l’interpretazione musicale, sono tratte da:
“FAVOLE DALL’AFRICA” due volumi di Lino Ballarin, Ed. EMI

Favola n.1: COME DIO RAVVIVA IL SOLE
(Proposta dai Pigmei del Gabon)

In certe epoche Dio si mette in cammino e va a trovare il sole per rianimarlo e accrescergli il vigore.
Ciò avviene quando le nubi invadono il cielo da ogni parte accumulandosi fino a coprire tutta la terra. Quello è il segno che annuncia l’arrivo delle piogge.
Il sole si vela e quasi scompare del tutto. “Il cielo ha mangiato il sole”, dicono i vecchi.
Ma come il cacciatore, quando vede il fuoco prossimo a spegnersi, va a prendere nuova legna secca per ravvivarlo, così fa il Creatore quando vede che il sole si oscura; gli viene in aiuto.
Si reca nelle grandi foreste del cielo, ai confini della terra, seguendo una strada tutta seminata di stelle che brillano nelle notti serene. Allora ne raccoglie a piene mani e le mette tutte dentro un sacco enorme fino a riempirlo. Le stelle cercano di fuggire svolazzando qua e là come cavallette impazzite.
Fatta la raccolta, il Creatore torna verso il sole camminando adagio adagio per via del grande carico. Mentre cammina, alcune stelle riescono a fuggire; altre cadono e si rompono formando stelle più piccole. Ogni tanto il Creatore scuote il sacco per rabbonire le piccole ribelli. Ma ci sono dei buchi e anche di là fuggono stelle e stelline.
Raggiunto il sole, il Creatore vi getta dentro le stelle, e subito l’astro riprende lo splendore di prima, torna a lanciare i raggi più belli e caldi sulla terra, le nubi riottose si disperdono e il sole riappare a rallegrare i nostri occhi.

Favola n.2: DANZA AL CHIARO DI LUNA
(proposta dai Lega del Congo R.D.)

Mutima e Ngalia, sposati da vari anni, non avevano figli. Nel villaggio il fatto era oggetto di commenti poco benevoli. Una persona senza figli è una pianta secca, un membro inutile al clan e alla tribù.
“Perché – si sussurrava – Mutima non prende un’altra moglie?”
Incontrando la gente i due sposi intuivano un velato rimprovero nella voce e nello sguardo di tutti, e ne soffrivano.
Moltiplicavano le offerte allo spirito degli antenati per avere il dono di un figlio. Avevano chiesto consiglio agli indovini e a chi conosceva le virtù segrete delle erbe, ma senza risultato. Intanto il tempo passava tra speranze e delusioni.
Una cosa, però, era chiara per Mutima: non avrebbe mai mandato via la sposa o preso un’altra moglie; e Ngalia pensava lo stesso.
L’amore bastava a renderli felici.
Ma un giorno avvenne ciò che temevano: il consiglio degli anziani li invitò a lasciare il villaggio.
Si avviarono dunque verso l’ignoto portando con sé un pacchetto di sementi. Camminarono per monti, valli e foreste, in cerca di un luogo dove fissare la dimora. Dovevano restare isolati, ma non volevano essere troppo lontani da qualche villaggio.
Ed ecco che una sera, dopo trenta giorni e trenta notti di vagare solitario, videro apparire, sopra gli alberi alti della foresta, la luna in tutto il suo splendore, la luna piena. Ne furono estasiati. Un raggio di luce amica veniva a confortare la loro solitudine. Il mondo è bello anche quando gli uomini lo dimenticano. Passarono ore a godersi la luce della luna che li guardava dal cielo, finché il sonno li prese. E nel sonno Ngalia ebbe un sogno. La luna, col suo corteo di stelle, si dirigeva verso di lei, la povera Ngalia scacciata da tutti, e le parlava con voce chiara e dolce: “Ngalia, so che cosa rattrista te e il tuo sposo. Restate qui, costruite una capanna, coltivate la terra; tu presto avrai un figlio”.
Quando Mutima sentì raccontare il sogno, non poté trattenere lacrime di gioia. La notte seguente danzarono sotto lo sguardo della luna per manifestare la loro riconoscenza.
La promessa si avverò. Nacque un bambino e lo chiamarono Bekita-Mwezi (Dono della Luna). In uno slancio di gioia Mutima esclamò: “Kikunga ukunga, Kalaga ulaga; nakwakubile nti ubugukamonako” (Dio protegge, Dio regola la vita; i suoi voleri si realizzano sempre).
La notizia arrivò nei villaggi e venne gente a portare doni.
In seguito Mutima e Ngalia ebbero altri figli e attorno alla loro capanna si formò un villaggio. E ogni volta che torna la luna piena è gran festa: tutti danzano ringraziando la luna per il dono della vita.
Il nome di Bekita-Mwezi fa parte di una massima sempre viva tra i Lega.
Essa dice: “Quelli che uccideranno la luna rimpiangeranno la perdita del più bell’ornamento del cielo; con lei si spegneranno le stelle sue figlie, lasciando il mondo senza gioia”.

Favola n.3: L’AVVENTURA DI UNA IENA GOLOSA
(Proposta dai Baganda dell’Uganda)

Un giorno la lepre, distratta, cosa assai rara, si lasciò prendere dalla iena. Ormai il suo destino era segnato: di li a qualche minuto sarebbe stata divorata. La iena stava dirigendosi verso la tana per il pasto.
In tali frangenti guai ad esitare! Non si deve perdere un secondo. La lepre lo sapeva bene, quindi si mise subito a parlare.
“Cara amica, ti stavo proprio cercando. Ho una bella notizia per te.”
<Quale? > chiese la iena incuriosita.
“ Come faccio a dirtela in questa scomoda posizione, sospesa come sono tra i tuoi denti? E poi si tratta di un segreto che puoi capire solo se siamo a cielo aperto.”
La iena allentò la presa delle mascelle e si fermò presso un albero, sempre attenta a non lasciare la preda di cui conosceva la furbizia.
“Guarda il cielo” disse la prigioniera “vedi quelle grandi nubi bianche?”
< Sì, e con ciò?>
“Lo sai che su quelle nubi ci sono mucchi di carne di ogni qualità? Non ne hai mai gustato di così deliziose!”
< A che servono? Io non potrò mai raggiungere quelle nubi.>
“Eppure sono certa che puoi, se vuoi. C’è un mezzo per arrivare lassù.”
<Quale?> disse la iena tentata dalla lusinghiera prospettiva.
“Basta che tu faccia ciò che ti dico.”
<Sentiamo.>
“Io ti darò una piuma magica che terrai per una estremità con gli artigli. Tua moglie s’attaccherà a te e i tuoi figli s’aggrapperanno alla madre. Verrà un avvoltoio con ali potenti, afferrerà col becco l’altra estremità della piuma e vi porterà tutti su quelle nubi dove vi attende un pasto mai sognato.
<Mi pare un viaggio abbastanza rischioso e scomodo.>
“Non temere! Io l’ho già fatto. La carne lassù è così saporita che quando l’avrai sotto i denti non ti pentirai d’aver affrontato il viaggio.”
“Va bene. Ma, dimmi un po’, come mai tanta premura per me che non ti sono mai stata molto amica?>
“Ti confido il mio segreto perché tu mi lasci in vita”
<Capisco.> disse la iena già impaziente di volare sulle nubi. < A che ora si parte?>
“Fra un’ora. Sono già d’accordo con l’avvoltoio. Intanto puoi radunare la famiglia.”
La iena lanciò un ululato e giunsero presto moglie e figli. Li mise in fila e raccomandò di tenersi attaccati bene insieme. Al momento giusto arrivò l’avvoltoio.
La lepre chiese il permesso di dargli le ultime istruzioni per la manovra di partenza, e all’uccello spiegò cosa doveva fare, concludendo sottovoce: “Avrai carne per molti giorni”.
L’avvoltoio afferrò col becco la piuma, spiegò al vento le ali potenti e spiccò il volo trascinando dietro di sé in cordata la famiglia delle iene.
Quando giudicò di essere abbastanza in alto, aprì il becco e lasciò cadere le povere bestie che si sfracellarono al suolo.
Poi, roteando, discese verso il festino che lo attendeva.